«L’infuenza che subii più a lungo fu quella dell’arte etrusca che nel 1928 diede una svolta alla mia pittura. [...] Amai questa umanità piccola sorridente e che fa sorridere.Trovai invidiabile il sonno beato sui sarcofaghi di queste altre odalische di terracotta e il loro modo di essere morte. Nei miei quadri entrò una pagana felicità, tanto nello spirito dei soggetti che nello spirito del lavoro che si fece più libero e lirico».
È con queste parole che lo stesso Massimo Campigli descrive nella sua biografia la visita al Museo Etrusco di Villa Giulia a Roma nel 1928, attribuendole una valenza fondamentale per lo sviluppo della fase più matura della sua produzione artistica. Ed è a partire da queste parole che prende forma la mostra presso ACP - Palazzo Franchetti a Venezia, a cura di Franco Calarota con la supervisione generale di Alessia Calarota, che vuole proporsi come un vero dialogo tra le opere del maestro e gli esempi del passato da cui ha tratto così forte ispirazione. Le circa 35 opere di Campigli selezionate per la mostra si affiancano a una cinquantina di reperti della civiltà etrusca, molti dei quali inediti ed esposti qui per la prima volta, individuati dalla Soprintendente Margherita Eichberg assieme agli studiosi del Comitato Scientifico, affiancati dal direttore di ricerca Arch. Giovanni Cesarini. L'esposizione ha potuto inoltre contare sul prezioso apporto scientifico della storica dell'arte Martina Corgnati.
Le composizioni volutamente arcaicizzanti di Campigli, ben rappresentate in mostra con dipinti che spaziano dal 1928 al 1966, ritrovano le origini della loro ispirazione più profonda nei reperti etruschi esposti con cui si instaura una naturale condivisione di atmosfere, segni e colori.