È un viluppo di realtà, immaginazione e radicalità, vita, morte e tecnologia, microcosmi e metamorfosi, natura e introspezione. Fino al 27 luglio, la Fondazione Calarota accoglie a Palazzo Franchetti a Venezia due retrospettive (entrambe curate da Roberta Perazzini Calarota) dedicate a due autori uniti nella spiccata visionarietà e nel segno di una poetica «in agrodolce». S'intitola proprio «Bittersweet» la rassegna riservata alle creazioni enigmatiche di Graham Sutherland (1903-1980), uno degli innovatori della pittura britannica del '900. Definito il Damien Hirst dei suoi tempi, il suo stile fonde le esperienze espressionistiche astrattiste, cubiste e surrealiste europee, rielaborate con un fantasioso biomorfismo.
La mostra presenta 40 lavori della maturità dell'artista, dove le impressioni naturalistiche convivono con una dimensione esistenziale: radici e tortuosità in Twisted Tree (1973), piccoli universi come Conglomerate (1970) e fino a l'Uovo (1975), che porta dentro di sé la futura trasformazione e alle immaginifiche Sirene (1979). L'approdo è con II Bestiario (1979), uno dei cicli più noti di Sutherland, proposto nella sua interezza. Dal serpente al polipo, le incisioni all'acquatinta create per affiancare i testi di Apollinaire sono una summa della sua arte, sempre sospesa tra felicità e sofferenze, a catturare l'essenza dell'esistenza. Sono evocazioni destabilizzanti quelle di Mattia Moreni (1920-1999), protagonista dell'antologica «Gli oggetti le cose pensano in silenzio», che accoglie il visitatore con la grottesca tela «Ah! quel Freud... "la psicoanalisi sul divano"» (1997), che incarna il fervore di gestualità e la forte carica emotiva del suo talento multiforme. Sono esposti 35 dipinti, molti di grande formato, immagini materiche dense di pittura, che percorrono la parabola artistica di Moreni, cavalcando le avanguardie.
Dagli esordi di matrice fauve-espressionista alle soluzioni post-cubiste, passando per le forme astratto-concrete in concomitanza con la sua adesione al Gruppo degli Otto. Moreni si accosta poi alla stagione Informale e al Neoespressionismo. Ritroviamo a Palazzo Franchetti le caratteristiche Angurie, ciclo presentato nella sala personale alla Biennale 1972: metaforiche rappresentazioni della donna ferita, dell'origine del mondo e del suo disfacimento. Il clou della rassegna è una sfilata di Umanoidi, ultima fase della sua produzione: volti-computer, cromie acide, fluorescenze violente e ossessivi «perché?». Chissà come avrebbe raccontato l'era dell'Al a colpi di pennello Mattia Moreni.