A NOVEMBRE PALAZZO FRANCHETTI METTE IN SCENA 140 SCATTI DEI DUE ARTISTI AMANTI CHE HANNO VISSUTO UNA DELLE PIÙ TURBOLENTE E CREATIVE RELAZIONI AMOROSE DEL XX SECOLO.
"Anch'io". È iniziata con queste parole una delle storie d'amore più tempestose e creative della storia dell'arte del XX secolo: quella fra Man Ray e Lee Miller. Immaginatevi la scena. Siamo a Parigi. È la primavera del 1929. Al tavolino di un bar chiamato Bateau Ivre, sulla Rive Gauche, c'è Lee che sta cercando lezioni di fotografia. Accanto a lei, ecco spuntare il maestro surrealista. "Non ne voglio sapere, non prendo studenti", dice. "E poi, sto partendo per le vacanze a Biarritz". "Anch'io", risponde lei, sfacciata e irresistibile.
Ma come? Davanti alla personalità di un gigante come Man Ray chiunque avrebbe fatto un passo indietro. Già, chiunque ma non Lee. Basta passare in rassegna la loro straordinaria collaborazione creativa per rendercene conto. I due erano una delle It-Couples bohémien di Parigi. E vivevano la loro love story senza prevaricarsi. Ora, una mostra allestita a Palazzo Franchetti a Venezia lo testimonia in modo inequivocabile. Lee Miller Man Ray. Fashion, love, war , dal 5 novembre al 1 aprile, presenta 140 scatti e vari oggetti d'arte che raccontano di questo miracoloso equilibrio creativo ed amoroso ("Se Ray ti prendeva la mano o ti toccava", raccontava Miller, "sentivi un calore quasi magnetico") che contraddice il luogo comune secondo cui la donna sarebbe stata semplicemente musa ispiratrice del pittore e fotografo statunitense. Certo, è innegabile: Miller ha posato infinite volte per Man Ray. E spesso, lo faceva completamente nuda. Eppure all'interno della camera oscura i due artisti confabulavano, testavano, sperimentavano tanto che il risultato finale era difficile da attribuire all'uno o all'altra. Sono stati coppia fissa per quattro intensissimi anni, lavorando insieme gomito a gomito, quasi inciampando l'uno nell'altro, a distanza iper ravvicinata. È grazie a questa liaison che scoprirono le magie della solarizzazione, una tecnica che produce un'aura oscura attorno a un'immagine quando il negativo in via di sviluppo viene esposto a un lampo di luce. I ritratti realizzati con questa tecnica sembravano venire da un altro mondo. C'è chi ha scritto che "possedevano il fascino inquietante del surrealismo senza il solito simbolismo stucchevole". Probabilmente era vero.
Moltissimi di questi lavori sono oggi entrati nel mito. Eppure la maggior parte è stata da sempre attribuita a Man Ray. Un'ingiustizia a cui l'esposizione veneziana curata da Victoria Noel-Johnson tenta finalmente di porre rimedio. Anche se oggettivamente non è un lavoro semplice: quando i due si conobbero, infatti, Ray era già uno degli artisti più originali dell'epoca, soprattutto per le foto che realizzava senza una macchina fotografica, posizionando gli oggetti direttamente sulla carta fotografica e preservandone le ombre. Mentre Miller non era ancora sbocciata. Per qualche tempo era stata modella. Per puro caso, un giorno l'editore Condé Montrose Nast la salvò dall'essere investita da un camion mentre passeggiava distrattamente per le vie di Manhattan. In pochi giorni si ritrovò sulla copertina di Vogue. Il caschetto biondo e gli occhi penetranti della nativa di Poughkeepsie le davano l'aspetto di "un capretto baciato dal sole della Via Appia", disse Cecil Beaton. Eppure quel "capretto" di Lee era anche una sciupa-uomini. Narra la leggenda che quando Lee, appena ventiduenne, decise di lasciare New York per raggiungere Parigi a bordo della Comte de Grasse, i suoi due amanti dell'epoca lanciarono una moneta per vedere chi di loro l'avrebbe salutata sulla banchina. Così, mentre il vincitore sventolava il fazzoletto bianco mentre la vedeva allontanarsi lungo l'Hudson, il suo rivale si era affittato un biplano dal quale lanciò sulla nave diretta in Europa una pioggia di rose rosse. Con tali premesse l'effetto dell'incontro fra l'ex modella e il grande artista non poteva che avere effetti deflagranti. Tanto intensi quanto a tempo determinato. La fine arriverà nel 1932, quando la donna dopo l'ennesimo litigio per dei negativi riutilizzati decide di trasferirsi a New York e di aprire uno studio fotografico.
Per Man Ray sarà una tragedia. L'artista, devastato cadrà in depressione, rifugiandosi nel lavoro. È in questo periodo che realizzerà alcuni dei pezzi più memorabili della sua carriera. Uno dei più famosi in assoluto è l'iconico metronomo con l'occhio ticchettante. L'occhio era quello di Lee Miller e l'idea alla base del pezzo era che lo spettatore avrebbe guardato quell'occhio ticchettare avanti e indietro finché, esausto, non lo avrebbe fracassato in mille pezzi. In questo modo avrebbe esorcizzato un amore perduto. L'esorcismo avrà effetto più in là. I due infatti si riconcilieranno durante una festa nel 1937. Negli anni 40 Lee diventerà fotoreporter e racconterà la Seconda guerra mondiale sulle pagine di Vogue. Sarà l'unica fotografa donna a cui verrà concesso il permesso di viaggiare in modo indipendente nelle zone di guerra europee. Ma dal 1937 in poi fino alla fine della loro vita, Man Ray e Lee Miller rimarranno legati per sempre. In qualche modo, innamorati. Una delle foto più commoventi dei due insieme risale al 1975. Si vede Lee già piuttosto anziana, che spinge un fragilissimo Man Ray, ormai seduto su una sedia a rotelle, in occasione dell'inaugurazione di una delle ultime mostre a lui dedicate. Un'immagine commovente che testimonia più di qualsiasi altra cosa che in fondo, il loro amore è stato eterno.