Un viaggio dal deserto alle profondità dello spazio, da un microscopico granello di sabbia alle galassie più lontane, alla ricerca del proprio destino e della propria umanità. Un percorso scandito da voci e storie che raramente approdano nel mondo occidentale, unite nella mostra «Your Ghosts Are Mine, Expanded Cinemas, Amplified Voices» (dal 19 aprile al 24 novembre), prodotta da Qatar Museums, coorganizzata da Doha Film Institute, da Mathaf: Arab Museum of Modern Art e dal futuro Art Mill Museum (attualmente in costruzione), in collaborazione con Acp-Art Capital Partners.
Oltre quaranta registi e videoartisti provenienti dal Medio Oriente, dall’Africa e dal Sud-est asiatico le cui immagini in movimento danno forma a un viaggio di scoperta dell’uomo attraverso esperienze contemporanee di vita comune, memoria, migrazioni ed esili. Lo sguardo di artisti e registi affermati ed emergenti, selezionati dal curatore Matthieu Orléan in collaborazione con Majid Al-Remaihi e Virgile Alexandre, confluiscono in un percorso in dieci sezioni tematiche che spaziano dal deserto alle rovine, dalle voci di donne all’esilio, un racconto sul presente e il futuro dell’uomo attraverso una parte di mondo a noi occidentali spesso, colpevolmente, poco nota. Vari i generi rappresentati: fiction, documentari, film d’animazione e memoriali, sospesi tra fatti immaginari e realmente accaduti, fra tradizione e modernità, spiritualità e sensibilità postcoloniale.
«Questi film non appartengono ai mass media e all’industria culturale, spiega Matthieu Orléan. Seguono i propri percorsi, senza mai dimenticare che sono e saranno percepiti come pezzi di storia, soprattutto quando provengono da Paesi devastati da guerre o affetti dalla mancanza di tracce tangibili della storia passata. Senza aver paura dei paradossi, questi registi e artisti rivelano la capacità di appartenere a più luoghi e generi contemporaneamente».
«Dome» (2005), di Lida Abdul. Cortesia Giorgio Persano Gallery
La prima sala è dedicata al deserto, ambientazione e immagine ricorrente di numerosi film. «Il deserto è uno spazio paradossale: sembra vuoto, ma non lo è. Custodisce misteriosi reperti archeologici, è luogo di vagabondaggio e solitudine, ma anche di rivelazione, meditazione e follia. Molti film ne descrivono la violenza, ma anche la bellezza», spiega il curatore. Un’altra sala è dedicata all’esilio, e non solo quello dal mondo occidentale, ma anche quello dai Paesi africani o dell’Asia meridionale verso il mondo arabo. Il concetto di esilio viene ridefinito di volta in volta. C’è una sala dedicata alle donne, con film che parlano di donne, diversi realizzati da registe donne. «Ho cercato, riassume Orléan, di concentrarmi sulle loro parole, ma anche sui loro silenzi e gesti, su come le donne scrivono, manifestano, parlano». C’è anche una sala dedicata al fuoco, esplorato come elemento di violenza che predomina negli scenari. Oltre a queste sale dedicate ai lungometraggi, ci sono stanze con opere video degli artisti Hassan Khan, Sofia Al Maria, Wael Shawky, Lida Abdul.
Tra i Paesi rappresentati nella mostra Algeria (Hassen Ferhani, Tariq Teguia), Egitto (Morad Mostafa, Sameh Alaa), Etiopia (Jessica Beshir), Iran (Shirin Neshat, Shoja Azari, Ali Asgari), Libano (Khalil Joreige & Joana Hadjithomas, Ali Cherri), Lesotho (Lemohang Jeremiah Mosese), Marocco (Faouzi Bensaïdi, Randa Maroufi, Asmae El Moudir), Stato di Palestina (Elia Suleiman, Raed Andoni, Larissa Sansour, Abdallah Al-Khatib), Qatar (Hamida Issa, Amal Al-Muftah, Majid Al Remaihi, A.J. Al-Thani, Rawda Al Thani), Sudan (Suzannah Mirghani), Mauritania (Abderrhamane Sissako), Siria (Yasser Kassab, Mohamad Malas, Fares Fayyad), Senegal (Ramata-Toulaye Sy), Yemen (Shaima Al Tamimi) e un’altra dozzina ancora.
Sua Eccellenza Sheikha Al Mayassa bint Hamad bin Khalifa Al-Thani, presidente di Qatar Museums e del Doha Film Institute, ha dichiarato: «Il fatto di inaugurare “Your Ghosts Are Mine” durante la Biennale d’Arte, proseguendo fino al periodo del Venezia Film Festival, consentirà a un gran numero di visitatori stranieri di poter aprire gli occhi sulle idee, le emozioni e soprattutto sugli sguardi artistici dei registi contemporanei provenienti dal mondo arabo e aree limitrofe».
«I Promise You Paradise» (2023), di Morad Mostafa. Cortesia Bonanza Films