Il nudo torna in scena

Svelarsi sembra la nuova parola d'ordine: a teatro, nell'arte, nella moda. Ma il corpo delle donne è davvero diventato - da oggetto - soggetto? Ne abbiamo discusso con chi ha posto questa riflessione al centro del proprio lavoro  
Maria Laura Giovagnini, IoDonna, Marzo 16, 2024

Era il 1968. «Ho lavorato per un bel po’ con tessuti trasparenti. Credo di aver fatto del mio meglio per la liberazione delle donne, permettendo loro di affermare con orgoglio e audacia i propri corpi. Ho creato abiti perfettamente in sintonia con il XXI secolo» diceva Yves Saint Laurent, un concetto ben illustrato dai nude look esposti fino al 25 agosto alla mostra The diaphanous creations a Parigi (al Museè Yves Saint Laurent, appunto). E lo stesso “nudo” intento pare aver guidato Anthony Vaccarello, attuale direttore creativo di Saint Laurent, nella collezione autunno/inverno 2024.

 

Free the Nipple

E veniamo all’Italia: Svelarsi di Silvia Gallerano – con le protagoniste che stanno in scena spogliate a discutere e condividere riflessioni – è stato lo spettacolo-fenomeno dell’inverno, mentre ora il seno diventa tema di un’esposizione, Breasts (a Venezia dal 18 aprile al 24 novembre), e di una piéce – Il sen(n)o - con Lucia Mascino, che debutta il 16 aprile al Teatro Menotti di Milano. Intanto parecchie ragazzine aderiscono al movimento Free the Nipple per la “liberazione del capezzolo” dalla costrizione del reggiseno. Evviva, il corpo – da oggetto – si fa finalmente soggetto… O no?

 

“La nudità può essere empowering, ma solo se ci si mostra per quello che si è, con sincera indifferenza. Esempio banale: una donna con il seno cadente che indossa il bikini per nascondere il “difetto” è costretta poi a verificare di continuo di essere “a posto”… Se ti sbarazzi del pezzo di sopra, ecco, hai finito di preoccuparti: io sono così, e allora? Quando non nascondi più quello che vivi come “problema”, ti si libera spazio mentale» osserva la Gallerano. Che è una vera pioniera: già nel 2012, ben prima di Svelarsi, era stata pluripremiata protagonista di La Merda. Seduta senza abiti su uno sgabello, si lanciava in un monologo-confessione nel ruolo di una giovane “brutta” che aspira alla tv.

 

Lo sguardo maschile

«Abbiamo introiettato lo sguardo maschile giudicante» continua. «Portiamo l’oppressione pure dentro di noi, quando invece c’è grande bisogno di dare spazio al corpo in un altro senso, integrandolo. Penso che la separazione corpo-mente sia la causa di tanti nostri problemi: dobbiamo ricordarci che siamo animali e uscire dalla convinzione, ormai antica, della superiorità del raziocinio, del logos sulla fisicità».

 

Un momento di “Svelarsi” di Silvia Gallerano.

«Se al mare vai in piazzetta con un costume praticamente inesistente ti senti libera, ma forse sei dentro un sistema che ti ha spinto. Per quanto appaia un gesto consapevole, è “inquinato” dalle immagini dei media che ci bombardano il cervello… Non vorrei sembrare bacchettona, eh!» sorride Lucia Mascino, che si è molto interrogata prima di impersonare la psicoterapeuta di Il sen(n)o dell’inglese Monica Dolan, incaricata di fornire al tribunale un rapporto su una madre che ha concesso una mastoplastica additiva alla figlia di… otto anni. «No, non è realmente accaduto, è un’invenzione provocatoria e grottesca, però purtroppo verosimile: si vendono reggiseni imbottiti a partire dai sette anni, scarpe con il tacco dai quattro. L’infanzia viene sessualizzata a scopo di marketing, ed è così triste! Ho visto un documentario in cui chiedevano a un bambino cosa avrebbe voluto cambiare del suo corpo… “Mi piace così”. “Ma se proprio dovessi?”. “Vorrei le ali”».

 

Il seno, rassicurante e peccaminoso

Mascino, comunque, nota qualche segnale positivo. «Alle manifestazioni di Non Una di meno (il movimento femminista e transfemminista nato nel 2016, ndr) vedo tanti maschi; c’è più sensibilità sul body shaming; Michela Murgia – con i suoi scritti e con la sua morte “pubblica” – ha lasciato un’eredità forte. Siamo in un frangente importante, sì, qualcosa è stato ottenuto, eppure guardando certi look sui red carpet mi chiedo: “Povere noi, ancora stiamo lì?”. Se fossimo libere davvero, esisterebbero vari modelli di provocazione e, al contrario, sono stranamente tutti simili. E il seno è spesso protagonista, basti pensare a Femen (il movimento femminista di protesta ucraino fondato nel 2008, ndr). È un simbolo massimamente ambivalente: da una parte rappresenta il materno, la “santificazione”, dall’altra il peccaminoso; da una parte ti rassicura, dall’altra eccita il desiderio».

 

Storia e marketing 

“L’iconografia del seno nella storia dell’arte, a partire dalle Madonne del Latte cinquecentesche (sparite dopo il Concilio di Trento, nel 1545) fino a oggi, passando per Marcel Duchamp e Cindy Sherman, riflette la complessità delle implicazioni sociali» spiega Carolina Pasti, ideatrice e curatrice della mostra veneziana a Palazzo Franchetti. «Diventa lo spunto per parlare delle realtà politiche, delle tradizioni storiche, delle identità. Analizziamo come sia stato un dispositivo commerciale nel marketing e nella pubblicità (l’attrattiva sessuale è una tattica comune per vendere) e non ci tiriamo indietro nell’introdurre l’aspetto più doloroso, la malattia. Mi hanno ispirato sia le opere di Laura Panno sia i lavori del fotografo Hans Feurer: rappresentava donne libere, spavalde, capaci di usare il corpo come una forza, come empowerment».

 

Il ruolo di TikTok e Instagram

 “Untitled, Pentax Calendar” di Hans Feurer (Hans Feuer / CAMERA WORK, Berlin)

 

Per concludere, facciamo il punto con Lorella Zanardo, attivista-scrittrice-filmmaker, nonché presidente dell’associazione Nuovi Occhi per i Media, che offre corsi di formazione per studenti e docenti sull’utilizzo dei mass media digitali. Nel 2009 segnò una pietra miliare nella consapevolezza collettiva con il documentario Il corpo delle donne (25 milioni di visualizzazioni sul sito), realizzato con Cesare Cantù e Marco Malfi Chindemi e centrato sulla critica alla mercificazione delle immagini femminili nei canali della Rai e delle tv private.

Zanardo, il corpo è finalmente delle donne? «Siamo sulla buona strada ma, come ripeteva Emmeline Pankhurst (all’inizio del ’900 guidò le suffragette fino a ottenere il diritto di voto, ndr), “Non arrenderti. Non smettere mai di lottare”. Le telecamere oggettivanti feroci (indugiavano a lungo su scollature e gambe senza inquadrare il volto, quello che ci rende persona, individuo), da sei-sette anni non ci sono più. Un altro segno positivo è costituito dall’avvento delle piattaforme, con innumerevoli serie in cui le donne non hanno più ruolo subalterno: sono avvocate, detective, imprenditrici. Terzo segno positivo: le proteste di numerosissime associazioni contro certe pubblicità hanno portato frutti».

Il problema maggiore? «Non era il corpo nudo (il corpo nudo non ha niente di sbagliato, alla televisione norvegese e svedese non c’è tabù): il problema era come veniva inquadrato, quasi uno sbirciare dal buco della serratura. E, ahinoi, queste immagini reiterate hanno avuto la conseguenza di assuefarci, se non addirittura di spingerci all’emulazione. La consapevolezza oggi è tanta, a dimostrazione che educare serve. Se la tv si è “emendata”, in compenso abbiamo TikTok e Instagram, dove troviamo sia corpi emancipati sia un’enormità di corpi oggettivati.

Per quanto mi riguarda, ho aperto un altro fronte con il progetto Volto Manifesto.”

Di che si tratta? «Di “riappropriazione del viso”. I segni dell’età sono la nostra storia, cosa succederebbe a una società dove tutti fossero uguali, lisci? Free the Face! Liberiamoci dalle imposizioni! Noi Free the Nipples l’avevamo già proclamato negli anni ’70…».