‘Breasts’, la mostra che “mette a nudo” senza farci né santi né peccatori

Presentata nella cornice di Biennale Arte 2024 e curata da Carolina Pasti, 'Breasts' ruota attorno al seno, non solo femminile. Visitabile fino al 24 novembre 2024, il suo percorso è un mix di sguardi che celebra l'attrazione verso l'oggetto del desiderio che tutti condividiamo
Amaranta Pedrani, Rolling Stone, Maggio 7, 2024

Tumultuosa e indaffarata, questa kermesse veneziana. Ricca, ricchissima di eventi, artisti e mostre. Forse così ricca mai. La sessantesima edizione della Biennale di Venezia offre un ventaglio espanso di ricerche artistiche, e le possibilità di visite più disparate. E, nel contenitore di mostre off del percorso Biennale, ho scelto di porre attenzione a una in particolare, Breasts, seni. Una parola, un mondo. Mentre fuori infuriano tempeste qui si può trovare rifugio, e analizzare più da vicino un simbolo universale a cui però ognuno dà una rilevanza differente. 

Lo si fa attraverso un racconto che lo presenta nelle sue sfaccettature più diverse, senza scivolare nel banale e senza altra possibilità che riflettere su un tema tanto specifico quanto ricco di sfumature.

 

 Veduta dell'installazione, ‘Breasts’, 18 Apr – 24 Nov 2024, ACP Palazzo Franchetti, Venezia. Cortesia di Carolina Pasti. Foto: Eva Herzog

 

Il luogo che la ospita è il mezzanino di Palazzo Franchetti, opulento edificio del Quattrocento dove sembra che la mostra si sia rifugiata, quasi a preservare un po’ di intimità mentre Venezia mormora e parla.

Il merito è della curatice Carolina Pasti, che con bravura ha raccolto varie testimonianze attraverso più media espressivi: sculture, dipinti, video e fotografie, tutti a guardare il seno da più vicino e a dispiegare le costruzioni narrative che, dal Cinquecento a oggi, lo hanno circondato. L’esperienza conduce all’inevitabile domanda: com’è possibile che stiamo ancora a formalizzarci a parlare di seni, che non si esca dai soliti cliché?

Censurato e raffigurato, amato e discusso, desiderato, massima rappresentazione (nell’immaginario comune) del corpo femminile. Oggetto del desiderio, di sessualità, d’allattamento, e di libertà attraverso secoli e luoghi. 

Lungo Breasts troviamo più di trenta lavori che lo mettono a nudo senza mai essere volgari, e che suscitano meraviglia per le forme note e notissime, ma anche impreviste e sconosciute, passate sotto lo sguardo delle firme, sia note che emergenti, che si sono misurate con la rappresentazione di questo simbolo erotico e materno.

Differenti le motivazioni della sua evocazione, molte le emozioni che lo circondano. Sempre delicato però il sentimento che nutre, che sia stupore o un vago, morbido disagio. È proprio sulla delicatezza che questo percorso pone attenzione. Grazie alla collaborazione con la Fondazione IEO-MONZINO di Milano, a cui sarà destinata una parte del ricavato delle vendite del catalogo, Breasts vuole sensibilizzare il pubblico verso la prevenzione e la cura del cancro al seno, non lasciando alcun aspetto dietro il velo.

Per accedere a Breast si percorre un voluttuoso corridoio progettato da Buchanan Studio, che introduce alle cinque sezioni attraverso un lavoro site-specific, Booby Trap, con drappi rossi da cui spuntano lampadari mammellari di diverse misure e forme a simboleggiare la differenza di ognuna.

 

 Booby Trap’. Foto: press

 

Una Madonna dell’Umiltà (detta del latte) di Bernardino del Signoraccio (ca. 1460-1540) dà poi il benvenuto in sala: minuta e delicata, sprigiona tutta la forza del gesto materno per eccellenza, l’allattamento. Cindy Sherman entra in dialogo con questo spazio, assumendo le sembianze della celebre Fornarina di Raffaello. Lo stesso fanno gli altri dipinti nella stanza, da Giorgio de Chirico a giovani artiste che rileggono la rappresentazione storica del seno, chi con pudicizia nel mostrarlo (Anna Weyant 1995, Canada), altre meno (Teniqua Crawford 1982, Johannesbur).Nella sala successiva, un tripudio di alterazioni e sculture, dal Marcel Duchamp di Prière de toucher (“si prega di toccare”), che presenta un seno di gommapiuma affisso sulla copertina del libro Le Surréalisme en 1947, alla scultura indossabile di Claude Lalanne, raffigurante una pettorina. Si passa poi dalle ceramiche di Paa Joe (1947, Ghana), a Prune Nourry, artista francese (1985) che presenta la scultura di un seno realizzata in vetro veneziano, con capezzolo in bronzo, a rappresentare la sua personale vittoria sulla malattia.

 

 Veduta dell'installazione, ‘Breasts’, 18 Apr – 24 Nov 2024, ACP Palazzo Franchetti, Venezia. Cortesia di Carolina Pasti. Foto: Eva Herzog

 

La parte dedicata alla fotografia è rappresentata da Robert Mapplethorpe, e poi Irving Penn, che astrae un dettaglio con una foglia d’oro e rende astratto ciò che non lo è. E poi Nobuyoshi Araki, che stringe e costringe con corde il corpo delle sue modelle. Oppure chi provoca usando la diversità, come Oliviero Toscani. Jaques Sono (1949 Belgio) invece trasforma il corpo in manifesto di unicità, portando in mostra (caso unico, qui) la rappresentazione di un torso maschile.

Un ironico Dalí dei seni fa lumache, Luoise Bourgeois le rende tetto per una pancia in attesa, mostrando tanto il dentro che il fuori senza alcun pregiudizio e vergogna. Mastectomy Mameria di Charlotte Colbert (1987) è un monumento al potere, alla natura rigenerativa e al potenziale del corpo, zampillante come una cascata. Aurora Pellizzi (1983, Messico) gioca con il tessile e l’irresistibile voglia di toccare trasformando due seni in una di quelle magiche figure del vaso di Rubin, che qui, intitolandosi The Kiss, stralcia qualsiasi dubbio.

 

 Opera di Robert Mapplethorp. Foto: press

 

Infine Laure Prouvost, che estranea due tette giganti e le trasforma in oggetti dalla propria individualità, fa da preludio a Four For See Beauties, video di 15 minuti girato nel 2022, che con nuova dolcezza immerge in una storia di amore materno e di immagini marine per ricordarci il flusso delle fasi di vita.

Questa mostra va percorsa con curiosità e spensieratezza, con gli occhi di un bambino. Alla scoperta di una forma tanto amata e rappresentata, simbolo di uno degli attaccamenti più primordiali che abbiamo, che deve andare oltre a pregiudizi limitanti o pudicizie. Breasts racchiude in sé i giusti spunti per chiedersi perché, ancora oggi, il corpo femminile produca tanto clamore se svelato e dichiarato, come se si dovesse sempre stilare una classifica di santi e peccatori (quando, invece, tutti lo desiderano).

Tutte le sale hanno riferimenti alti e storici, commerciali e onirici, sempre il gioco come tema distintivo. Ma se è vero che senza accezione un seno non ci può stare, sarebbe bello che questa mostra potesse essere un contenitore trasversale dove potersi aggirare liberi, scegliendo quale veste in quel momento ci piacerebbe più indossare. E prendendosene cura, come d’altronde di tutto bisogna fare.